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Jack Wilshere, in un’intervista il suo anno più duro

Jack Wilshere, in un’intervista il suo anno più duro

Voglia di vincere sicuramente. Ma non nel modo in cui la pensiamo noi in ottica calcistica e agonistica, ossia puntando esclusivamente la porta per fare gol. No, c’è molto di più nella parabola di Jack Wilshere, calciatore dell’Arsenal oggi al West Ham noto per il talento precoce, picchi altissimi in carriera e stop prolungati in seguito a numerosi infortuni.

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Jack Wilshere: in un’intervista il suo anno più duro

Come racconta lui stesso in un documentario pubblicato a metà giugno da Athlete’s Stance, il 2015 è stato un anno significativo per la sua carriera dal punto di vista personale e professionale.

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Un percorso segnato dagli infortuni, tanti, troppi per un giocatore del suo calibro. Nel 2015 è arrivata la frattura del perone, ma già nella stagione 2011/2012 si era fermato per un problema alla caviglia.

Contemporaneamente la malattia del figlio di 4 anni, cominciata con delle crisi e delle convulsioni misteriose oggi raccontata con più consapevolezza e non senza svelare l’ombra del dolore paterno come il vero ostacolo da superare in quel periodo. Una vicenda umana che è esemplare per raccontare in maniera tridimensionale la vita dei calciatori, spesso figure ridotte a due dimensioni, persino gli idoli più amati.

“Le persone non immaginano ciò che succede dietro delle porte chiuse. Mio figlio aveva delle convulsioni che lo gettavano a terra e noi correvamo in ospedale. Mi sono dimenticato del calcio. Ho detto a mia moglie ‘non so se posso giocare ancora’.”. L’ex numero 10 dell’Arsenal racconta che i primi mesi della riabilitazione sono coincisi proprio con la comparsa dei sintomi nel figlio, e che in virtù di queste vicende ha cominciato un percorso personale che lo ha portato fuori dalla propria carriera. “Il calcio è importante, ma la famiglia è al primo posto”.

“Adesso mio figlio sta bene, grazie ai dottori. Devo ricominciare a giocare, (nel frattempo gli infortuni sono continuati anche nel West Ham ndr) perché la mia figlia più piccola ancora non mi ha visto in campo al massimo”.

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